CRITICA 3 - GADDA WALTER - Pittore

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CRITICA 3

CRITICA

La novità colore.
Sempre sul piano della denaturalizzazione dell’arte, Gadda ha proceduto ricorrendo a coloranti acrilici, i cui registri di variazioni timbriche sono praticamente illimitati. In questo caso non si tratta di porre enfaticamente a confronto arte e materia, ma di promuovere una variazione nella funzione artistica di materie che, come i colori, appartengono da sempre al giardino dell’arte. Ma l’infinita variazione dei toni di colore prodotti dall’industria chimica, se da una parte permette risultati di indubbia purezza e intensità, dall’altra rischia di cedere all’invariabilità e all’indeclinabilità sul piano tonale. Anche per questo si è imposta all’Artista la necessità di trovare un nuovo principio strutturale, in particolare per suscitare un’energia motoria, e quindi ritmica, in quelle materie coloristiche costituzionalmente inerti.
Alla base di questa operazione ritroviamo la stessa volontà di modellare il tutto (visibile e invisibile, attraverso un’inconscia metafisica ante-litteram) in coordinate armoniche, quale aveva improntato le grandi imprese “ornative” dei plasticatori e dei decoratori che lungo i secoli provenivano dalle valli prealpine, e lasciavano incomparabili microcosmi figurali in tante contrade italiane ed europee. Antenati non da poco e antefatti di sicuro peso questi valligiani dal grande mestiere e dalla prospettiva aperta sul mondo a loro possibile; la loro opera ci si presenta oggi come un fioretto francescano di indubbia pregnanza linguistica, in particolare (col senno di poi) nella dialettica dei rapporti complessivi tra i diversi elementi dell’opera rispetto alla totalità del campo visivo, in un’operazione storica dipanatasi sotto il segno di assonanze e corrispondenze, antagonismi e (appunto) contrappunti.
Tornando a noi, l’inerzia di questi colori dal registro illimitato produce una gamma amplissima di toni che non hanno più nulla da condividere con i riferimenti di natura. L’azzurro non è più il cielo nè il mare e il verde non è più l’erba e neppure il giallo la luce del sole. Però questi colori hanno  un’intrinseca e talvolta imprendibile capacità di vibrazione, di trasparenze, di riflessi, di cangianti, di reazione alla luce (ricordiamo Turner). Tanto più che, rispetto al prima (dell’Espressionismo e dell’Informale così ben storicizzati) questa nuova, industriale materia colorante non fa più spessore, non produce i grumi tipici del Materico, scivola sul cellofan o viene immediatamente bevuta dal supporto spugnoso, quindi assorbente. Asciuga velocemente, si segmenta in zone brillanti ed opache, sfuma con infinita, luminosa, splendida, struggente gradualità. Ha una vita diversa rispetto all’altro colore, ma una vita che va cercata, trovata e, appunto rivitalizzata nella direzione espressiva. Gadda giunge allo scopo inserendo organicamente questa nuova, algida generazione cromatica in quell’espressività atonale in cui la pittura si libera  dei principi di organizzazione precedentemente validi. Continuando la parafrasi musicale con l’opera di Bach, possiamo dire che qui Gadda si ispira anche, ma non solo, ai principi della musica dodecafonica, da Schönberg in poi.
 
Una nuova classicità.
Nell’opera di Walter Gadda troviamo conferma che il mondo moderno ha tagliato i ponti con la natura che si esprimeva nell’arte classica. L’idea romantica dell’esistenza come soglia verso l’infinito (con l’implicito problema del limite) si è persa nell’accelerazione verso un consumo a pieno regime, verso la distruzione. Gadda recupera e trattiene con forza propositiva la prospettiva di una classicità nuova, disgiunta da un concetto ormai arcadico di natura, il cui sfilamento ha lasciato una traccia profonda di nostalgia.
                                                                                Dalmazio Ambrosioni

 [1]. “Ci vuole una artista bravo per usare materiali nuovi e trasformarli in un lavoro d’arte. Il pericolo, credo, sta nel rendere la fisicità dei materiali così importante da diventare l’idea del lavoro”. Sol LeWitt in “Paragraphs of Conceptual Art” in “Art-forum”, giugno 1967



Figura, 1989 - cm 101x71












Figura, 1993 - cm 50x35

 
 
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