CRITICA 1 - GADDA WALTER - Pittore

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CRITICA 1

CRITICA

Walter Gadda, la coscienza della storia

C’è un carattere fortemente progressivo nell’ultimo Gadda. Non solo – come è evidente – negli strumenti dell’operare, nei materiali, nei modi, ma in particolare nel rapporto con il tempo che passa e lascia dietro di sé, nella sua eredità, anche l’opera e il suo significato, che in qualche modo si perpetuano riprendendosi e rilanciandosi. Infatti, nonostante le evidenti accelerazioni, non risuona il tumulto della rivoluzione nell’opera di Walter Gadda, dove tutto si ritrova, in embrione, nel lavoro precedente e ulteriormente allude a quello successivo. In questa sorta di “età di mezzo” risaltano alcuni elementi che richiedono di essere analizzati e proposti.
Il primo è la consapevolezza della propria opera. Gadda non butta niente, trattiene il senso più intimo e radicato di un’esperienza pluridecennale sviluppata con la coerenza di chi sa che ogni quadro è una sfida, ma che questa sfida deve continuamente scaturire da una storia ed avere una prospettiva all’interno di un indirizzo comunque aperto. È come se ogni volta risalisse nuovamente alle origini e ai filoni genetici da cui scaturisce la sua vicenda artistica. E di nuovo ripartendo confermasse quale ineluttabile, primario obiettivo la qualità. Ben sapendo che la qualità è esigente e richiede contenuti alti, per quanto complessi; nel senso che scaturisce da una serie ineluttabile di confronti, tanto a livello collettivo, generazionale, sociale, artistico, quanto interiore, personale.
Per minimamente storicizzare questa lettura, partiamo dal fatto che anche nell’arte contemporanea, come nella società, si è sviluppato un interesse per il cattivo gusto, spacciato magari  come esigenza di divulgazione e di denuncia, e l’indulgenza verso una lettura superficiale delle cose, partendo dal (pre)giudizio che l’arte dev’essere un piacere, un po’come uno spettacolo televisivo. Nell’opera di Gadda si ritrova invece l’intima certezza che, anche in una cultura quantificata e quantificante, l’opera d’arte rimane l’ultima possibilità, forse l’unico valore in grado di resistere al consumo e di offrirsi, pura, al giudizio.
Per difendere dai potenti assalti del consumo quel che resta della qualità (la qualità derelitta) Gadda da una parte non esita a scendere nel… campo avverso, con esperienze riferite ai modi, ai materiali, alle materie (1). Dall’altra, continua fermamente a mantenere alta la cifra della pittura, ad esempio preservando comunque un impianto classico di tipo rinascimentale, che recupera anche nelle stesure cromatiche in cui immette una progressione (una violenza potenziale?) trattenuta, quindi simbolica. E da questo solido impianto si indirizza verso una visionarietà che rapporta a Turner, alla graduale dissoluzione nella luce e nel colore, dunque all’interno di una complessa operazione culturale che si snoda lungo la filigrana di un inarrestabile andirivieni tra realtà e percezione, che va oltre gli steccati del cosiddetto psichismo. Questo avviene tanto sul piano degli strumenti e delle modalità dell’operare quanto, ancor con maggior precisione, nei contenuti e nel continuo ravvivare un cromatismo pienamente identificato nei suoi caratteri, nei suoi comportamenti, nei suoi annunci. Il colore di Gadda è, al tempo stesso, una stanza e una soglia.
 
 
La novità quadro.
 
Dell’opera di Walter Gadda emerge anche un complesso decisamente concettuale in cui par di avvertire le posizioni fertilmente ambigue di artisti come Sol LeWitt, Robert Ryman e Franck Stella con le loro Strutture primarie in cui recuperano fortemente antiche regole estetiche (armonia, equilibrio, proporzioni, giustapposizioni ecc.). Prima ancora si assapora il purismo delle superfici monocrome di Agnes Martin e Ad Reinhardt, dove quella che i linguisti definiscono “indeterminatezza semantica “ si manifesta nella comunque imperfetta corrispondenza tra le cose, le situazioni, e la loro rappresentazione. Dove gioca un ruolo essenziale il concetto di percezione, soprattutto per il fatto che quest’arte non va verso e nemmeno muove da quello che potrebbe apparire come un “grado zero”, ma sorge da un ampio orizzonte di radicamento storico, in cui si ripropone la questione di una pittura essenziale (quindi nient’affatto retorica ma nemmeno forzosamente piacevole) e concettualmente autonoma, speranzosa ancora di “senso di espressione” o, ancor meglio, di metafisica. Dove “essenziale” non corrisponde automaticamente a riduzione o concentrazione, e nemmeno ad un inafferrabile punto di vertice, ma – al contrario – ad una visività ricercata, spinta, intensificata, elevata al quadrato, ottenuta non per concentrazione ma per diffusione.
Lungo questa strada Gadda doveva necessariamente confrontarsi con  tecniche e materie estranee alla tradizione della pittura, che infatti viene superata. Ad esempio si è servito del fuoco. Non tanto inseguendo un’idea di sublimazione o di purificazione, quanto per rompere lo stato di inerzia di materiali di tipo industriale, quindi neutri, non dotati di forma, e in quanto tali disponibili a usi diversi. La funzione utilitaristica della materia viene a cadere con quella che potremmo definire l’Action Painting di Gadda, così come – nelle opere più recenti – nell’utilizzo di metalli e materie plastiche.
Si tratta in ogni caso di materiali che, sul piano storico, sono andati sostituendosi alla morfologia della natura, hanno fatto ambiente e paesaggio. A parte il principio di riportare a nuova vita materiali consueti impiegandoli in senso metaforico, quindi diverso ma non necessariamente contrastante con la loro originaria funzione, nell’utilizzo che ne fa Gadda si avverte il bisogno di denaturalizzare l’arte. Ma come? In particolare ricorrendo alla “nuova natura”, quella tecnologica, insita in materiali impiegati, a fini espressivi, in un modo ulteriore rispetto a quello per cui erano stati intesi e prodotti.
Il principio della denaturalizzazione è essenziale in questa fase dell’opera di Walter Gadda, che in più modi è figlio, anzi nipote del Naturalismo Lombardo, il quale ha insito nel suo DNA l’innovativa impostazione etica di Corrente, con la sua ansia di apertura alla moderna cultura e il rifiuto dell’antistoricismo dell’arte celebrativa e/o militante. Questa sorta di filiazione culturale, prima che artistica, si è coltivata anche dentro la memoria di un esegeta dell’arte come Francesco Arcangeli,  e di una interessante quanto motivata rotazione della stagione dell’Informale attorno al concetto di Archetipo, ossia di “modelli originari dell’inconscio collettivo, immagini che attraversano le culture e i tempi, e rimangono universali”. Sono tutte premesse che aiutano Gadda a realizzare un punto di incontro tra l’Informale nell’accezione arcangeliana e le Primary Structures nord-americane dalla metà degli anni ’60 in poi.



Paesaggio, 1970 - cm 100x100
















       
Paesaggio meccanico, 1976 - cm 50x35
Paesaggio meccanico, 1976 - cm 30x25

















Figura, 1989 - cm 101x71

 
 
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